Asteroid City ★★★½

Affinando il processo di astrazione iniziato con The French Dispatch, Wes Anderson scrive e dirige Asteroid City, commedia che in modo radicale e compiuto certifica senza mezzi termini tutto il nichilismo della sua poetica. L'improbabilità della trama, la struttura narrativa a scatole cinesi (questa volta in senso verticale e non più orizzontale), la rigorosa perfezione formale, la scenografia spudoratamente artefatta, il continuo ricorso al campo e controcampo (o, ancor peggio, allo split screen) e l'alienante algidità delle interpretazioni attoriali sono tutti espedienti che sviliscono qualsiasi tentativo di immedesimazione e di coinvolgimento emotivo dello spettatore, costretto a fare i conti con l'incomunicabilità sentimentale, l'incomprensione affettiva, l'impossibilità della fede e l'inutilità della scienza (a lungo impotente durante la pandemia). Offrendo un involontario ma curioso controcampo di Oppenheimer (che nel deserto di Los Alamos ha cambiato il mondo, mettendolo irreversibilmente a rischio), Anderson mostra che in realtà non c'è nulla da cambiare e che, forse, è tutto già saltato in aria (rappresentazione cinematografica compresa).

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