Il pranzo di Babette ★★★½

Dopo una quarantennale carriera principalmente televisiva, Gabriel Axel realizza il suo capolavoro a 69 anni, quando riesce finalmente ad adattare per il grande schermo l'omonimo racconto di Karen Blixen. Contrapponendo il rigoroso bigottismo della fede alla sua concezione più aperta alla vita e all'amore, il film ricorre al personaggio di Babette per rappresentare la Grazia cristiana: dopo la sua entrata in scena, la distensione narrativa e la luminosità fotografica crescono progressivamente in modo direttamente proporzionale, collimando in un pranzo simbolo di altruismo, dedizione e piacere, leggibile peraltro anche in chiave metacinematografica: come la sua protagonista, anche il regista da dietro le quinte mette la sua arte a servizio di un pubblico ampio e variegato, dal cinefilo raffinato (incarnato dal generale), fino allo spettatore più neofita, il quale, pur non avendo gli strumenti per decodificare fino in fondo l'arte di cui sta fruendo, apprezza e gradisce allo stesso modo dei commensali. Un'opera deliziosa, molto più stratificata di quanto la semplicità narrativa e il naturalismo stilistico lascerebbero immaginare.

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